LE CASCATE DEL PESSOLA

Anche se le previsioni meteo al  momento  non   sono  delle migliori , le leggi della natura  fanno  comunque il loro corso  e la primavera,  periodo   stagionale più bello e piacevole  dell’anno, è alle porte.   

Con il sole che  presto ritornerà a risplendere, quando il grigiore dell’autunno lascerà il posto al rinverdire dei boschi e al rifiorire delle piante e quando dopo il letargo invernale ti prende quell’irresistibile desiderio di scarpinare per scoprire anno dopo anno il fantastico risveglio della natura, favorito anche  dai tanti luoghi degni di escursioni che la nostra valle, la bassa Valceno ci offre, vorrei prendere in considerazione l’idea di ripercorre quel magico itinerario che lungo le strettissime gole del torrente Pessola ci porta fino alle sue singolari cascate.

Il Torrente Pessola, omonimo della valle in cui scorre, nasce dal monte Barigazzo e confluisce nel torrente Ceno poco prima di Varano de Melegari

Diverse sono le strade percorribili che consentono di avvicinarsi alle cascate, ma qualunque percorso si scelga, prima o poi, si è costretti ad abbandonare l’auto e data  la naturale conformazione della valle, stretta, impervia e profonda,  occorre inoltrasi in questo suggestivo canyon camminando a piedi.  

Partiamo quindi dal punto a noi più favorevole e iniziamo il nostro percorso immettendoci sulla  strada comunale che si dirama    dalla Sp28 in direzione di Specchio/Castecorniglio, non lontano da Varano de Melegari ; già alla partenza, percorrendo il tratto che costeggia il torrente, noteremo subito che stiamo per entrare in una zona caratteristica e in un paesaggio rustico contraddistinto da panorami suggestivi che ci accompagneranno lungo tutto il tragitto che ci condurrà prima al ponte di  Castelcorniglio, dove dovremo lasciare l’auto, e poi alle cascate.

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Raggiunto il ponte e parcheggiata l’auto, consapevoli di dover camminare per un paio d’ore, è arrivato il momento di calzare un buon paio di scarpe, di mettersi sulle spalle uno zaino con le scorte (acqua e viveri), scendere l’argine scosceso e iniziare a scarpinare sul greto del torrente.

Il percorso che si snoda sull’alveo è caratterizzato da un fondo ghiaioso, da piccole zone sabbiose, da qualche necessario attraversamento e da innumerevoli laghetti d’acqua limpida e scorrevole, ma  non presenta particolari difficoltà e quindi può  essere facilmente affrontato da tutti.

In una valle silenziosa e selvaggia, questo tratto di torrente che ci guiderà fino alle cascate, all’inizio si presenta con un ampio alveo, formato da massi e da ciottoli tipicamente levigati dallo scorrere dell’acqua, artefice dei ripidi e scoscesi  versanti che ci faranno da cornice lungo tutto il cammino

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Già dai primi passi ammireremo un panorama unico e spettacolare, costituito da pareti ripide e sconnesse avvolte da una fitta vegetazione e da numerosi affioramenti di rocce stratificate di notevole interesse geologico   che delineano il vasto pendio  del monte Pareto in uno straordinario ambiente naturalistico che suscita   un grande concentrato di emozioni.

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In questa gola  che diventa sempre più stretta man mano che si penetra al suo interno, modellata dalla millenaria erosione dell’acqua che ha  disegnato per la natura del suolo e per la vegetazione che lo riveste questo suggestivo paesaggio  si sono formati, in rapida successione,  tre diversi dislivelli che danno origine alle  cascate;  i due più a monte, anche se pregevoli generano due salti di modesta entità, invece il più alto e interessante è il primo che incontreremo quando giungeremo al termine  della nostra camminata;   dall’alto di un massiccio roccioso l’acqua precipita a valle tuffandosi in un profondo lago sottostante creando oltre alla classica nebbiolina tipica delle cascate, un atmosfera di silenzio, rotto solo dal magico  rumore che produce nel suo precipitare.

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Per chi non è mai stato in questo luogo, il primo impatto è sicuramente di stupore anche se il salto non è straordinario, ma naturalmente lo spettacolo dipende dalla quantità d’acqua che, nell’evolversi delle varie stagioni, scorre nel torrente.

Per chi è amante della natura e ne apprezza il suo mutamento,   in questa valle potrà soffermarsi e ammirare  un paesaggio incontaminato formato da versanti ripidi e scoscesi ricoperti da piante di ogni genere  e da una variegata flora spontanea che regala panorami  unici e suggestivi, di cui, chiunque si cimenterà in  questo percorso, né resterà sicuramente stregato.

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Una scarpinata non è solo una salutare camminata, sono passi e parole per fare un pezzo di strada insieme e raccontarci l’un l’altro, camminando.

Appuntamento alla prossima  scarpinata

 

SUA MAESTA’.. .RE della Tavola

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                         Nella vastità e nella diversità  delle specie che appartengono al regno animale solo qualche esemplare può fregiarsi del titolo di “Sovrano”;  sua Maestà il leone, simbolo di regalità, di potenza e di nobiltà è da tutti considerato il  re della foresta; sua Maestà il maiale , animale intelligente e socievole  che normalmente consideriamo simbolo di sporcizia e volgarità, anche se non sporca mai nella zona in cui dorme e mangia, considerato ”impuro” anche nel contesto di alcune culture orientali , nel mondo occidentale e specialmente nel mondo contadino ha assunto  in passato un rilievo talmente importante per l’abbondanza delle sue carni, utilizzabili dalla testa alla coda,  che viene tuttora  proclamato da tutti “Re della Tavola”.  

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 Nella civiltà contadina, riecheggiano ancora i lontani ricordi della festa che si faceva il giorno della sua macellazione anche se  l’uccisione di questo animale, mite e simpatico, era tanto cruenta quanto necessaria per il sostentamento annuale  di tutta la famiglia.

Se da un lato questo rito simboleggiava la morte, la violenza e la sofferenza, dall’altro lato era una speranza di vita  che si rinnovava nelle famiglie, che con questo atto  raccoglievano i frutti maturati dopo mesi e mesi passati nutrendo e curando amorevolmente questo buffo“vicino” di casa 

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L’antico rito della  macellazione del maiale, detto anche porcello,( da non confondersi conil porcellum” ) in quel mondo contadino fortemente attaccato alla terra e dei cui frutti viveva,  avveniva nei mesi invernali; il periodo più propizio andava dal 30 novembre, ricorrenza di Sant,Andrea al 17 gennaio, ricorrenza di Sant’Antonio Abate (quello del porcellino).

Nell’aia o nel cortile, spesso e volentieri ricoperti di neve, avveniva il “fattaccio”; l’usanza era talmente “normale” che anche i bambini non si impressionavano più di tanto, anzi come in altre occasioni, vista la presenza di qualche conoscente che veniva a dare una mano, né approfittavano per fare festa.

Questa usanza, che ora riteniamo macabra, ma che a quei tempi era indispensabile, nella nostra comunità da molti anni  non avviene più; per assaporare il ricordo di questa antica tradizione, i due “AMICI”, che ormai ben conosciamo, hanno organizzato nel “Salone delle feste” ai Massari, “La Mailata”; un pomeriggio di festa per onorare il sacrificio di questo grufolante e docile “ Sovrano”.

 La parola “maialata”, termine improprio soggetto a diverse interpretazioni e a molteplici significati, nella maggior parte dei casi nessuno lo assocerebbe ad una tavola imbandita pronta ad accogliere le prelibatezze  che  la  carne  di questo bistrattato  animale   ci  offre,  anzi, siccome la fantasia dell’uomo tende ad immaginare e costruire realtà diverse su cui fantasticare, raramente, complice anche il vocabolario della lingua Italiana, attribuirebbe a questa parola un  significato gastronomico.  

Non trovando quindi un eufemismo appropriato per festeggiare   “ Sua Maestà ” associamo il termine   “Maialata”  a quella realtà gastronomica che nelle famiglie contadine significava festa, fatica e futuro.

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I preparativi per festeggiare questo nobile Sovrano e ritrovare  così gli antichi sapori di un tempo hanno coinvolto fin dal   giorno prima dell’evento  oltre agli ideatori anche molti altri collaboratori;  tutti insieme  si sono dati da fare nel sistemare tavoli, sedie, posate, bicchieri e bottiglie e chiunque fosse transitato da i Massari in quel giorno avrebbe notato un andirivieni fuori dal comune.

  Alla sera tutto era pronto  e preparato nei minimi particolari , sui tavoli mancavano solo le note bottiglie da collo lungo che avrebbero preso  il  loro posto il giorno  seguente . 

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Il mattino seguente, 1 febbraio,  il lavoro inizia presto; si parte di buon ora con l’accensione  dei fornelli; anche il vecchio forno di mattoni, che un tempo serviva per la cottura del pane, alimentato da  alcune fascine di legna accatastate lì il giorno prima, viene acceso  e poco dopo il fumaiolo  emette già la prima sbuffata di fumo che riporta il pensiero a tempi ormai lontani, quando  questo sistema di cottura era di uso comune  in tutte le famiglie contadine.

Mentre i mattoni,   sollecitati dal calore, assumevano il classico colore  biancastro,  segno che l’interno del forno stava   raggiungendo   la  temperatura ideale per la cottura e dai fornelli salivano già esili tracce di vapore, esperti cucinieri insaporivano con salvia, rosmarino e alloro “Costine” e “Cotiche”; (non dimentichiamo che le cotiche con fagioli era un piatto tradizionale della cucina contadina quando del maiale non si buttava niente.)

Tutto è pronto per la cottura;  le costine sistemate in due grosse teglie sostituiscono le brace nel forno, lì a fianco in una pentola borbottano già  i fagioli con le cotiche  e una seconda pentola è pronta per accogliere  uno dei  tanti prodotti tipici della cucina Italiana,  i ravioli.   

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L’ora della”grande abbuffata”si avvicina, il  forno e le pentole  emanano odori, profumi e sapori che ci riportano alla mente ricordi d’infanzia che la frenesia dei tempi moderni tende a farci dimenticare, ma che quest’oggi ci vengono riproposti dalla  capacità e dall’impegno di questi amici che con tanto entusiasmo e altruismo hanno organizzato quest’incontro.                                                                                                        

La giornata non è delle migliori, i campi sono innevati e scende una pioggerella fastidiosa, ma nonostante ciò nessuno è voluto mancare; siamo in tanti e tra un saluto e una chiacchiera, mentre i tavoli si arricchiscono di bottiglie  spumeggianti tutti prendiamo posto.

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Il menù, particolarmente curato e ricco di prelibatezze  tutte all’insegna di Sua Maestà, propone:  un misto di salumi caserecci,  un” giro” di ravioli in brodo sapientemente preparati dalle “rezdore” del luogo, una squisita  bomba di riso,  deliziose costine di maiale appena sfornate dal forno a legna , i  fagioli con le cotiche  e per ultimo non potevano mancare le prelibate torte  amorevolmente preparate dalle  nostre donne.

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Nel lento susseguirsi di queste specialità culinarie che di volta in volta venivano servite  in tavola, nell’alternanza di bottiglie vuote con quelle piene e tra un bis o un tris di costine , il pomeriggio è trascorso in allegria e spensieratezza con lo spirito di amicizia e di aggregazione che da sempre ci accomuna; alla sera quando ormai la festa volgeva al termine, i tavoli erano vuoti, le preoccupazioni quotidiane stavano per tornare e il pensiero correva già alla  prossima occasione d’incontro, pian piano ognuno si congeda dal “Salone delle feste” ringraziando gli amici organizzatori e tutti coloro  che con il loro lavoro e il loro impegno, sia fisico che economico, hanno contribuito a realizzare in modo impeccabile questa simpatica giornata  dedicata al Re della Tavola.

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Un vecchio detto dice:

A farsi la barba si sta bene un giorno, a prendere moglie si sta bene un mese, ad ammazzare il maiale si sta bene un anno.  

 

 

Organizzazione F & F.

Collaborazione : Giuliana and Company